domenica 13 gennaio 2013

Dov’è l’Isola Ferdinandea, l’isola che non c’è?

Ricordate Ferdinandea? L’isola che non c’è? L’Isola Ferdinandea è attualmente una piattaforma di roccia che si trova tra 6 e 8 metri sotto la superficie del marea tra Sciacca e l’isola di Pantelleria. Sembra che essa sia una bocca di un vulcano sommerso che di tanto in tanto erutta e quindi emerge. E’ quel che è successo nel 1831, quando si formò un’isola che crebbe fino ad una superficie di circa 4 km² e 65 m di altezza. Ma l’azione erosiva delle onde e la subsidenza dell’isola stessa (che in quell’occasione venne chiamata Isola Ferdinandea) ossia il compattamento del materiale sotto il proprio peso fecero si che l’isola non ebbe vita lunga e così scomparve definitivamente sotto le onde nel gennaio del 1832. La sua scomparsa portò anche alla fine al problema sorto circa la sua sovranità: la rivendicavano francesi, inglesi, italiani…
Ebbene ora l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia nell’ambito del programma di estensione a mare del monitoraggio Geofisico e del controllo dei Vulcani sommersi dei mari italiani, ha dato il via alla prima campagna di monitoraggio multidisciplinare sottomarino nell’area dei banchi del Canale di Sicilia dove esiste la piattaforma della ex Isola Ferdinandea. Il Banco Graham, oggi così chiamato, si trova a meno 6,9 m sotto il livello marino è ancora quasi completamente sconosciuto e manca inoltre di un minimo sistema di monitoraggio e quindi non si conosce al momento quale sia il suo stato di attività. Le indagini hanno interessato anche i vicini banchi Terribile (-20 m) a est, e Nerita (-16,5 m) a NE, che con il Graham costituiscono un ampio rilievo sottomarino che s’innalza dal fondale del Canale di Sicilia. Durante la campagna è stato eseguito un rilievo con un sonar di particolare precisione che ha permesso di identificare 9 distinti crateri, segno di altrettante storiche eruzioni che hanno avuto origine nell’area. Inoltre sono stati prelevati campioni di roccia dal fondale e campioni di gas dalle fumarole presenti in gran numero nell’area vulcanica. A completamento delle operazioni, allo scopo di estendere temporalmente il monitoraggio, sono stati deposti tre stazioni sismiche da fondo mare equipaggiate con sismometro. L’analisi dei dati permetteranno di capire meglio lo stato di attività del vulcano.
La stazione sismica mentre viene deposta in mare
La stazione sismica sul fondo del mare

lunedì 13 settembre 2010

Sciacca: posta una lapide sull’isola Ferdinandea

Una lapide in marmo è stata posta sott’acqua sull’Isola Ferdinandea, nel Canale di Sicilia, a circa 23 miglia dal litorale saccense. Protagonisti dell’iniziativa sono stati Beatrice di Borbone, discendente della famosa famiglia reale dei Borbone, e i sommozzatori della sezione subacquea della Lega Navale di Sciacca diretta da Gaspare Falautano. A porre la grande lapide di marmo, a circa 15 metri di profondità, sono stati cinque sommozzatori guidati da Mimmo Macaluso. Sulla lapide è statoscritto il seguente messaggio: “Questo lembo di terra, una volta Isola Ferdinandea, era e sarà sempre del popolo siciliano. Beatrice di Borbone delle Due Sicilie. I sommozzatori della Lega Navale Italiana di Sciacca posero”.
Fonte: AgrigentoFlash.it

lunedì 6 settembre 2010

C'è sul serio l'isola che non c'è!

C'E' SUL SERIO L'ISOLA CHE... NON C'E!
 
ECCOLA... E'
 
L'ISOLA FERDINANDEA
 
 
 
 
Se ne sono occupati gli storici, i geologi, i politici, i diplomatici, i vulcanologi, ma l'isola Ferdinandea ha tutti gli elementi del mito e della leggenda 
 
 
 
 Nel web sono molti i siti di varie nazioni che ne parlano, alcuni in termini robustamente rivendicativi,  essenzialmente sulla scorta - anacronistica - del fatto che, all'epoca della sua comparsa,  l'Italia non era un'entità  politica. L'Isola Ferdinandea è conosciuta oggi come "Banco Graham", ovvero una vasta piattaforma rocciosa a circa 6 metri dalla superfice marina tra Sciacca e l'isola di Pantelleria.
 
Costituisce la bocca di un vulcano sommerso che, eruttando, nel 1831, vide l'isola crescere fino ad una superficie di circa 4 km2 e 65 m di altezza. Tuttavia essa era composta da materiale eruttivo chiamato tefra o tefrite,  materiale facilmente erodibile dall'azione delle onde.
 
Alla conclusione dell'episodio eruttivo si verificò una rapida erosione e l'isola scomparve definitivamente sotto le onde nel gennaio del 1832,  prima di ogni soluzione del problema sorto intorno alla sua sovranità .
 
 

Il 10 dicembre 1831 Benedetto Marzolla,
dipendente dell'Officio Topografico del Regno delle Due Sicilie, pubblicò una Descrizione dell'Isola Ferdinandea nel mezzo-giorno della Sicilia, comunicando che il precedente 12 luglio un vulcano era emerso dal mare e,  dopo numerose eruzioni, aveva lasciato un'isoletta. Era un piccolo pianoro di sabbia nera e pesante, tanto friabile da non sostenere il peso di una persona; nel centro vi sorgeva un colle e poco discosto c'era un laghetto di acqua fumante,  dall'acre odore di zolfo.
 
Si trovava sul banco detto dai Siciliani Secca di Mare o Secca del Corallo
e dagli inglesi di Malta Banco di Graham, circa 30 miglia a sud di Sciacca. 
  Il canonico Arena scriveva che queste eruzioni "sono state sempre precedute da brevi scosse di terremoto che si sono susseguite con fortissimo fragore di boati". Secondo l'Arena "testimoni dell'evento furono i capitani Trafiletti e Corrao,  naviganti in quel mare (latitudine 37,11 nord e longitudine 12,44 est) che osservarono un getto d'acqua a cui tennero dietro colonne di fiamme e di fumo che si elevavano ad un'altezza di 550 metri circa. Il 16 luglio si vide emergere la testa di un vulcano in piena eruzione e il 18 lo stesso capitano Corrao, di ritorno, osservò il cono del vulcano che sporgeva dal mare. Presto si vide emergere un'isoletta che crebbe sempre in eruzione e raggiunse,  il 4 agosto, una base di tre miglia di circonferenza ed un'altezza di sessanta metri,  con due preminenze, una da levante ed una da tramontana, a guisa di due montagne legate insieme; con due laghetti bollenti".
 
Non appena si diffuse la notizia dell'apparizione del piccolo lembo di terra, accorsero, ad osservare l'evento, navi e scienziati di vari Paesi,  dal Regno delle Due Sicilie, alla Svizzera, alla Germania, alla Gran Bretagna.  Si susseguirono visite da parte di vari studiosi,  tra cui il prof. Karl Hoffman, geologo dell'Università  di Berlino,  il fisico Domenico Scinò , il prof. Carlo Gemellaro, docente di Storia Naturale presso l'Università di Catania per osservare l'evento.
 
 
Poiché Re Ferdinando aveva da poco visitato Palermo,  il prof. Carlo Gemellaro suggerì che l'isola gli fosse intitolata.  
Per effetto di un regio decreto del 17 agosto, l'isola Ferdinandea fu annessa al Regno delle Due Sicilie.  
 
 
 
 
L'isoletta suscitò anche l'interesse di alcune potenze straniere alla ricerca di avamposti strategici per gli approdi delle loro flotte mercantili e militari.  Così il 2 agosto l'Inghilterra prese possesso dell'isola chiamandola "Graham",  suscitando le proteste dei siciliani e dello scopritore capitano Corrao.  Il 26 settembre anche la Francia inviò un brigantino con a bordo il geologo Constant Prévost e il pittore Edmond Joinville, che realizzò i disegni dell’isola, per compiere rilievi e ricognizioni che evidenziarono frane sul terreno e pronosticarono il prossimo inabissamento dell’isola.  Come gli inglesi, anche i francesi non avevano chiesto alcun permesso al re Ferdinando II di Borbone, quale legittimo proprietario dell'isola,  essendo questa sorta nella acque siciliane. Anzi i francesi la ribattezzarono "Iulia" in riferimento alla sua comparsa avvenuta nel mese di luglio, poi posero una targa a futura memoria e innalzarono sul punto più alto la bandiera francese. Allora Ferdinando II inviò sul posto il capitano Corrao il quale, sceso sull'isola, piantò la bandiera borbonica battezzando l'isola "Ferdinandea" in onore del sovrano.  Sembrava che l'evento non suscitasse altro clamore,  invece giunse sul posto la marina britannica e fu deciso di rimettere la questione ai rispettivi governi.  
A fine ottobre del 1831 il governo borbonico prendeva posizione ufficiale ricordando ai governi di Gran Bretagna e Francia che a norma del diritto internazionale la nuova terra apparteneva alla Sicilia. A quanto sembra però i due governi non risposero,  e iniziarono le rivalità  fra le due nazioni, entrambe interessate a favorire le loro posizioni strategiche nel Mediterraneo. Il 7 novembre un capitano inglese misurò di nuovo l'isola, che risultò ridotta ad un quarto di miglio con un'altezza di venti metri.
Il 16 novembre si scorgevano soltanto piccole porzioni e l'8 dicembre un capitano siciliano ne costatò la scomparsa,  mentre alcune colonne d'acqua si alzavano e si abbassavano. 
 
 
 A scanso di equivoci i siciliani posero sulla superfice del banco Graham una targa in pietra tra le cui righe si legge che "[...] l'Isola Ferdinandea era e resta dei Siciliani". Rotta qualche anno fa (probabilmente per colpa di un'ancora) è stata prontamente sostituita.  Successivamente il vulcano è rimasto dormiente per decenni con la cima circa 8 m sotto il pelo dell'acqua (il cosiddetto Banco di Graham nella cartografia ufficiale).
 
 

Nel 1986 fu erroneamente scambiato per un sottomarino libico
 e colpito da un missile della U.S. Air Force nella sua rotta verso Tripoli.
Nel 2002 una rinnovata attività sismica nella zona di Ferdinandea ha indotto i vulcanologi a speculare sopra un imminente nuovo episodio eruttivo con conseguente nuova emersione dell'isola.  
 
 
 
 
 
Per evitare in anticipo una nuova disputa di sovranità ,  dei sommozzatori italiani hanno piantato un tricolore sulla cima del vulcano di cui si aspettava la riemersione. Però le eruzioni non si sono verificate e la cima di Ferdinandea rimane ancora circa 6 metri sotto il livello del mare.
 
 
 
Dal web - Impaginazione T.K.
 

The Ferdinandea island


We did not know where to put the bizarre story of the missing island, i.e., the Ferdinandea island - or Graham Banks - to which Gaetano Allotta has dedicated a second study (the first published in November 2000) comprehensive and intriguing, which we summarize here: since "it isn't there" it did not seem to have a definite location in this site. For this reason we have allocated to it a separate chapter in our notes on Italian maps.
The issue of its being Italian was, indeed, questioned and periodically crops up, to the extent that other countries - should the island emerge again - might even make territorial claims.
In the web there are many sites that talk about it, some robustly in terms of claims, mainly on the basis of the (anachronistic) fact that at the time of its appearence, Italy was not a political entity. But let's proceed with order.
The title-page of the Descrizione dell'Isola Ferdinandea (From Allotta 2002)
On December 10, 1831 Benedetto Marzolla, an official of the Topographical Office of the Two Sicilies, published a Descrizione dell'Isola Ferdinandea nel mezzo-giorno della Sicilia, indicating that on the previous 12 July, a volcano had emerged from the sea and, after several eruptions, had left an island. It was a small plain of black and heavy sand, so brittle that it could not support the weight of a person; in the center there stood a hill and nearby there was a pool of steaming water, strongly smelling of sulfur.
Its friability led Marzolla to believe that the island could soon disappear. In fact, at the date of publication of his report, the island had already disappeared - as was verified on 8th December by the commander of the brig "Achilles" - leaving a rock a few feet below the water surface.
Ships and scientists reached the site to observe the event, from the Kingdom of the Two Sicilies, Switzerland, Germany, Great Britain. A report on the eruptive phenomenon was published by Carlo Gemmellaro, Professor of Natural History at the University of Catania, who made an inspection on August 11, 1831. Since King Ferdinand had recently visited Palermo, the scientist suggested that the island be named after him. As a result of a royal decree of 17 August, the King Ferdinand island was annexed to the Two Sicilies.
Eruption of the King Ferdinand island in a drawing by prof. Gemmellaro
(From Allotta 2002)
view of its west side,attached to the Gemmellaro report
(From Allotta 2002)
However, the previous August 10 the British cutter "Hind" had reached the island, where the Captain claimed to have planted the British flag, calling it Graham after the First Lord of the Admiralty. According to Benedetto Marzolla, the island had also been reached by the Austrian brick Hussars, which had left a plate, and by a French expedition that had also left a plaque with an inscription, calling the island Julia, because the phenomenon occurred in July. Prof. Gemmellaro expressed doubts as to the veracity of these events, both because of the fragility of the island, and because the eruption had in fact never ceased, presumably making landing impossible.
In the Atlante cartografico, storico e statistico del Regno delle Due Sicilie, published in 1832 at the Topographical Office, the island appears as Isola Ferdinandea. After its disappearance, a Bank of Graham appeared on later charts, both Italian and foreign, certainly on the example of the British charts, which shows that Italy had lost memory of the original Bourbon annexation.
The Bank of Graham in the survey of the Italian Hydrographic Institute, 1:10000, 1925.
The first surveys by the Italian Navy Hydrographic Institute date back to 1890, made on board the ship " Washington". However, in 1923 J.B. Charcot, the French captain of the "Pourquoi Pas?" on an oceanographic mission in the Tyrrhenian Sea, having failed to find the minimum depth shown on Italian charts, advanced the hypothesis of a change of the seabed, as a result of a new volcanic phenomenon.
Therefore, the hydro-oceanographic vessel " Admiral Magnaghi I" repeated the measurements and on July 13, 1925, confirmed the existence of the Bank, 37 ° 09'48",95 north lat., and 12° 43'06,85 E long. Its top covered an area of 30 square meters, with depths varying from 8 to 12 meters, and very irregular seabed, which fell considerably about 200 meters off the bank. That survey was published in Vol. 12 of the Annali Idrografici.
The interesting publication by G. Allotta proceeds with the reproduction of the Gemellaro report and of the Descrizione dell'Isola Ferdinandea by B. Marzolla, with excerpts of the Malta Government Gazette (July and August 1831) - which closely kept under observation the volcanic phenomenon in the wake of the British claims - and with additional documents that show a continuing general interest. Further reports are included regarding the Rischio geologico nel Canale di Sicilia ... (Prof. P. Colantoni), the Aspetti geologici dell'Isola Giulia (Dr. GP Francalanci). It even includes literary quotations by A. Dumas and A. Camilleri, and a wide press coverage, with an article in the Times (February 5, 2000), explicitly titled British isle Rises off Sicily coast. It ends with striking color photographs of the seabed aound the Bank and with an extensive bibliography.
The newspaper Sicily of Thursday, August 22, 2002, announced that the German TV on that same day made a report on the island of King Ferdinand.
The same newspaper reported that on November 11, 2002, Charles of Bourbon was present in Sciacca at a symbolic ceremony to reaffirm Sicily's ownership of the submerged islet.
The Italian Hydrographic institute in 1989 and 2002 renewed the survey of the seabed surrounding the island, which showed no changes in bathymetry.
The legal solution to hypothetical foreign claims is shown in the preface to the publication by prof. Tullio Scovazzi - Professor of International Law at the University of Milan-Bicocca - based on the principle of geographical contiguity of the Bank to other Italian islands; on art. 77 of the UN Convention on the Law of the Sea (Montego Bay, 1982), by which the sovereign rights of Italy on the area, which is part of the Italian continental shelf, are automatic and do not depend either from territorial occupation or from expressed proclamation; and on the Protocol on specially protected areas ... (Barcelona 1995), as a result of which Italy could establish a marine park in the area, inclusive of the seabed and its subsoil.
Dr. Gian Piero Francalanci.
Measurements effected on chart nr 18 of the Italian Hydrographic Institute of the Navy,
showing that the bank is within the limit of the contiguous zone,
that extends 12 miles beyond the territorial waters (from Allotta 2002).
The Ferdinandea island is also the pivot of a novel by Andrea Camilleri, Un filo di fumo, published by Sellerio.

By
Paola Presciuttini, 2002

Ferdinandea (Banco di Graham)






Altezza: -6.9 m (Banco Graham)
Ubicazione: 37.10°N, 12.70°E
Superficie totale: sconosciuta

Ferdinandea è il nome italiano dato ad una piccola isola vulcanica emersa dal mare al largo sud-occidentale della Sicilia nell'estate del 1831. Oggetto di frequenti "scoop" giornalistici a proposito di un'imminente ri-emersione dell'isola (vedi, per esempio, The Times, London, del 27 novembre 2002), Ferdinandea è anche conosciuta come "l'isola che non c'è" dovuto al fatto che l'isola nata nel 1831 è sopravissuta per soli pochi mesi all'azione erosiva di onde e vento. Inoltre, sul livello internazionale, sono in uso diversi altri nomi per la stessa isola (che non c'è): Graham in inglese, Julia in francese, nonché Campi Flegrei del mar di Sicilia per il complesso vulcanico al quale appartiene (Global Volcanism Program).

Il testo seguente, a cura di Giuseppe Falzone, Gianni Lanzafame (INGV-Catania) e Piermaria Rossi (Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali, Università di Bologna), è stato pubblicato nel volume 29 (dicembre 2009) della rivista Geoitalia (clicca qui per scaricare il pdf del numero intero).



Tra la Sicilia e l’Africa settentrionale, il Mediterraneo centrale è caratterizzato dall’allineamento dei bacini subsidenti di Pantelleria, Linosa e Malta che, nel loro insieme, sono organizzati a formare il Canale di Sicilia. Il canale è il prodotto della collisione tra l’Africa e l’Europa, la quale è ancora in atto e si esercita lungo traiettorie circa nord-sud. In questo contesto, il canale è controllato da due sistemi principali di faglie, orientati rispettivamente NW-SE e circa nord-sud. Le discontinuità che individuano e bordano i bacini sono sede di subsidenze veramente importanti, che superano 3.000 m nella fossa di Linosa.
A partire da circa 8 milioni di anni fa, nel canale ha preso posto un vulcanesimo toleiitico e alcalino, che ha creato le due isole vulcaniche di Pantelleria e Linosa ed un numero elevato di apparati sottomarini, molti dei quali ancora sconosciuti. Il vulcanesimo è ancora attivo e le eruzioni storiche sono tutte sottomarine; per alcune di esse abbiamo solo indicazioni vaghe, altre sono state segnalate ma mai controllate; possediamo notizie certe solo delle due attività che hanno portato alla formazione delle isole effimere di Ferdinandea (1831) e Foerstner (1891), quest’ultima 4-5 km a NW delle coste dell’Isola di Pantelleria.
La nascita dell’Isola Ferdinandea fu annunciata, tra il 22 ed il 26 giugno del 1831, da terremoti avvertiti fino a Marsala, Trapani, Palermo e che a Sciacca causarono lesioni alle abitazioni e caduta di calcinacci. Poi in successione, il 28 giugno il capitano C.H. Swinburne della marina inglese segnalò di aver «visto un fuoco in lontananza in mezzo al mare»; il 2 luglio l’acqua ribolliva alla Secca del Corallo (oggi Banco Graham), dove alcuni marinai, che raccoglievano il pesce ucciso dalle attività vulcaniche, svennero nelle loro barche a causa delle esalazioni; il 5 luglio forti scosse sismiche furono sentite fino a Marsala; infine, il 7 luglio 1831, F. Trefiletti, comandante del Gustavo, vede per primo l’isola, 33 miglia a sud-ovest da Sciacca, alta 30 palmi sul pelo del mare, che «sputa cenere e lapilli».
Di notte l’attività era ben visibile da Sciacca, Menfi, Mazzara e Marsala. L’eruzione, ormai subaerea, costruì un’isola, il cui colore dominante era il nero e che risulterà alla fine alta 60 m, larga poco meno di 300 e con un perimetro di quasi 1 km. Le attività eruttive interagirono per tutto il tempo con il mare e il cratere, rotondeggiante e largo poco meno di 30 m, fu sempre invaso dall’acqua, che si abbassava e s’innalzava nel condotto e, traboccando, formava un fangoso ruscello che scendeva fino al mare e lo intorbidiva. Tutto l’edificio era saturo d’acqua. Sui pendii del cono, a 25 m dalla riva, furono descritti due laghetti, il più basso pieno di acque giallo-solfuree, il secondo di acque giallo-rossastre, che ribollivano gorgogliando; probabilmente erano crateri secondari, perché durante l’eruzione furono segnalate fino a tre alte colonne di fuoco che s’innalzavano contemporaneamente.
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Schema bati-morfologico del Canale di Sicilia. FL: fossa di Linosa. Modificato da General Bathymetric Chart of the Oceans, 2003

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Carlo Gemmellaro, professore di “storia naturale” all’Università di Catania, studioso dell’Etna e quindi profondo conoscitore dei fenomeni vulcanici, tra l’11 ed il 14 agosto visitò il teatro eruttivo lasciandoci un’immagine delle esplosioni del Ferdinandea (A, sopra) che presenta chiare analogie con ciò che ha mostrato (B, sotto) il vulcano Surtsey (Islanda), entrato in attività nel 1963. In entrambi i casi il mare invade il cratere, interagisce con il magma e causa eruzioni esplosive (attività surtseyana). Sono emessi vapori bianchi e ceneri nere. Queste ultime sono espulse a “coda di gallo” e ciascuna cuspide nelle digitazioni della nube corrisponde a una bomba lavica di notevoli dimensioni. A questo proposito Gemellaro riportò che le esplosioni lanciavano «grossissimi massi» fino all’altezza di una lega (5-6 km)

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Il primo studioso a giungere sul posto fu Karl Hoffman, docente di geologia presso l'Università di Berlino, che si trovava casualmente in Sicilia. Il governo borbonico inviò sul posto il fisico Domenico Scinà. Carlo Gemmellaro, professore all’Università di Catania ed esperto vulcanologo, dall’11 al 14 agosto visitò il teatro eruttivo stilando una dettagliata relazione e lasciandoci una immagine delle esplosioni del Ferdinandea molto simile a quanto ci ha mostrato nel 1963, in Islanda, l’eruzione e l’emersione dell’isola Surtsey. Il 26 settembre dello stesso anno la Francia inviò una missione diretta dal geologo Constant Prévost, il quale fece una relazione alla Société Géologique de France. Furono eruttati grossi blocchi, ceneri e scorie; pomici nere, anche in grossi elementi, galleggiarono per un vasto tratto di mare attorno al teatro eruttivo; le zone costiere della Sicilia prospicienti il vulcano furono coperte dai prodotti delle esplosioni; grossi frammenti arrivarono a Sciacca e danneggiarono le tegole dei tetti; il materiale espulso diede origine ad inquietanti aurore boreali, che avanzando da ponente verso nord-est, tinsero di rosso cupo i tramonti della Sicilia occidentale e che il 14 agosto illuminarono i cieli di Roma, Firenze, Lucca e Genova.
L’eruzione ebbe termine il 20 agosto. Non furono mai emesse colate di lava, a proteggere dall’erosione le rocce incoerenti eruttate (scorie, pomici, lapilli, ceneri). Pertanto, finita l’eruzione e con essa la costruzione dell’isola, il mare iniziò la sua opera demolitrice: già l’8 settembre, 19 giorni dopo la fine dell’attività, l’isola era visibilmente più bassa; il 27 settembre era ridotta a una piccola collina di sabbia fine; il 26 ottobre restava solo un rilievo di pochi palmi d’altezza, che nei giorni di tempesta si confondeva con il mare ma che conservava ancora al centro il cratere, invaso da acqua bollente.
Il successivo 8 dicembre, il capitano V. Allotta, comandante dell’Achille, ne stilò il certificato di morte, annotando che non vi era «vestigia alcuna dell’isola vulcanica»; permanevano il ribollio delle acque e soffioni che s’innalzano nell’aria. Il mare aveva vinto, ponendo fine alla vita di un’isola effimera ma anche al contenzioso diplomatico giocato per il suo possesso da Inghilterra, Francia e Regno di Napoli, durante il quale si era sentito persino tintinnio di spade e a memoria del quale restano i nomi differenti che, ancora oggi, contraddistinguono l’isola sorta sulla Secca del Corallo, la quale è chiamata Graham in Inghilterra, Julia in Francia e Ferdinandea in Italia. La cronistoria dell’insuccesso del vulcano Ferdinandea deve essere completata ricordando che notizie, mai però confermate, segnalarono un’attività sottomarina nel 1833 e la riemersione dell’isola, a pelo d’acqua, per pochi giorni, nel 1863.
La piattaforma continentale siciliana prospiciente Sciacca, 20 km a sud della costa, è dominata da un rilievo sottomarino che ha la forma di un dissimmetrico ferro di cavallo aperto verso N NW e che all’incirca si estende per 25 km da est a ovest e 30 km da nord a sud. Questo grande rilievo si innalza sul pavimento marino profondo tra 500 (est) e 250 m (ovest) ed ha le sue culminazioni a nord nel Banco Nerita (–16,5 m), ad ovest nel Banco Graham (–6,9 m) e ad est nel Banco Terribile (–20 m).

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Per monitorare le eventuali variazioni di profondità delle radici sottomarine del vulcano Ferdinandea, abbiamo ancorato sul fondo un misuratore di pressione completato da un dispositivo di registrazione dei dati e lo abbiamo recuperato dopo 6 mesi di funzionamento (metà ottobre 2006-metà aprile 2007). Durante questo periodo lo strumento ha acquisito, con una cadenza di 15 minuti, la pressione sul fondo (A). La media mobile dei valori rilevati è una curva (B), rappresentativa della profondità dello strumento rispetto alla superficie del mare. Le variazioni di profondità rilevati restano all’interno dell’errore strumentale dell’apparecchio di misura; tuttavia, la media a 150 giorni è una curva regolare, la quale sembrerebbe fornire indicazioni a proposito del trend evolutivo della batimetria del corpo vulcanico studiato
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Tra ottobre 2006 e aprile 2007, in corrispondenza dello strumento, la prevedibile evoluzione stagionale della temperatura del mare è interrotta (A) da un picco termico (+1,1 °C), nettamente superiore all’errore strumentale dell’apparecchio di misura (1/10 di grado; istogramma in B). La provenienza dai quadranti settentrionali e la velocità (scala verticale moltiplicata per 10 m/s) del vento (C), acquisite dalla stazione mareografica di Porto Empedocle (dati elaborati presso l’Istituto per l'Ambiente Marino Costiero del CNR, Mazara del Vallo), escludono l’ipotesi di venti caldi di origine africana nella settimana in cui si è manifestato il picco (31 dicembre 2006-6 gennaio 2007). Durante questo periodo, la mancanza di mescolamento delle acque, testimoniata dall’andamento del battente d’acqua sopra lo strumento che, a causa dell’assenza di modo ondoso significativo, rileva solo le maree (D; mare in “calma piatta”), parrebbe suggerire l’origine locale (vulcanica?) del netto e brusco aumento della temperatura marina
Le radici sottomarine del Ferdinandea
I rilievi batimetrici condotti nel 1883 trovarono, dove prima era sorta l’isola, un vasto e basso fondale da cui si innalzavano, fino a –2,7 e –3,3 m, due pinnacoli di roccia dura (basalto), verosimilmente i resti del camino d’alimentazione del vulcano, i quali furono distrutti con esplosivo a causa del pericolo che rappresentavano per la navigazione. L’Istituto Idrografico della Marina, nel 1914, riportava un fondale di 50 m, con due culminazioni profonde –34 (l’occidentale) e –8 m (l’orientale). Misure eseguite dal Consiglio Nazionale delle Ricerche nel 1972 hanno indicato un basso fondale sub-pianeggiante, tra –20 e –30 m, con al centro una guglia isolata di basalto, che s’innalzava fino alla profondità di –8,8 m. L’Istituto Idrografico della Marina, nel dicembre 2002 e nel maggio 2003, ha rilevato il punto più superficiale del vecchio edificio vulcanico a –6,9 m. Le variazioni della profondità nel tempo sono sia positive che negative, quindi non attribuibili all’erosione. Ci sono due possibili spiegazioni per queste variazioni: errori di misurazione oppure reali variazioni di batimetria causate dall’attività del vulcano.
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Per risolvere l’ambiguità abbiamo costruito un profondimetro e lo abbiamo ancorato sul fondo ad una profondità di circa 19 m, per proteggerlo da possibili manomissioni in una zona molto frequentata da pescatori e sommozzatori. Il nostro scopo era, infatti, di rilevare non tanto la profondità esatta dell’apice della secca quanto le eventuali variazioni batimetriche dell’intero apparato vulcanico. Lo strumento consiste in un misuratore di pressione assoluta completato da un apparato di registrazione in continuo, a lunga autonomia, capace di misurare e registrare non solo la pressione sul fondo ma anche altri parametri dell’ambiente contermine, tra i quali abbiamo scelto di rilevare la temperatura dell’acqua.
Abbiamo recuperato il dispositivo dopo 6 mesi di funzionamento, dalla metà di ottobre 2006 alla metà di aprile 2007. Si è trattato, in assoluto, del primo tentativo di monitoraggio dei resti del vulcano Ferdinandea e, più in generale, dei vulcani attivi della piattaforma continentale della Sicilia meridionale. Il profondimetro ha misurato, con una cadenza di 15 minuti, il peso del battente d’acqua che lo copriva, evidenziando le sue evoluzioni dovute sia alle variazioni della pressione atmosferica, sia alle condizioni marine (maree, moto ondoso, tempeste, ecc.), sia al passaggio di navi ed attività antropiche di vario genere. La media mobile dei valori misurati ha però mostrato con chiara evidenza che tutte queste variabili hanno rappresentato una sorta di rumore di fondo attorno ad una curva “pulita”, che rappresenta la profondità dello strumento rispetto alla superficie media del mare. Durante il periodo di funzionamento è stata rilevata una diminuzione della profondità, ma i valori sono al limite dell’errore strumentale del dispositivo di misurazione e, anche in relazione al periodo di osservazione troppo breve, rendono l’informazione poco significativa. La evidente regolarità della curva potrebbe, però, fornire ragionevoli indicazioni a proposito del trend evolutivo della batimetria delle radici del vulcano Ferdinandea.
Interessanti sono stati anche i dati rilevati a proposito della temperatura dell’acqua. Tra l’autunno 2006 e la primavera 2007, al Ferdinandea, la temperatura di fondo del mare da 21 °C circa è diminuita gradualmente fino a stabilizzarsi, tra febbraio e marzo, attorno 15°, prima di cominciare a risalire verso i valori estivi. Questa regolare e prevedibile evoluzione è stata interrotta da un picco termico anomalo, caratterizzato da un aumento della temperatura dell’acqua di più di 1 °C, che si è realizzato, in modo repentino, nell’arco di 36 ore, tra il 31 dicembre ed il 2 gennaio, e che più lentamente si è esaurito nei successivi 5-6 giorni. I valori misurati sono molto al di sopra dell’errore strumentale del termometro (un decimo di grado).
Oscillazioni della temperatura del mare, con variazioni di tale entità e con questa strutturazione, non possono essere addebitate a correnti marine mediterranee, i cui effetti termici, positivi e negativi, sono molto più lenti e molto più irregolari nelle loro manifestazioni. Non è nemmeno possibile fare riferimento ad acque più calde di origine africana, spostate da forti venti provenienti dai quadranti meridionali, perché nel periodo attorno al picco termico i venti erano deboli e provenienti dalla costa siciliana. Resterebbe la possibilità di una origine locale del riscaldamento dell’acqua. Possibilità questa che sembra trovare conferma dall’incrocio dei dati di temperatura con quelli relativi al battente d’acqua, il quale mette in evidenza che il moto ondoso è stato molto debole tra il 27 dicembre ed il 3 gennaio e si è ridotto ancora di più durante il periodo in cui è stato rilevato il brusco innalzamento di temperatura: la mancanza di moto ondoso e quindi di mescolamento delle acque renderebbe più efficiente un meccanismo di trasferimento del calore, il quale pertanto avrebbe una valenza locale e, nel nostro caso, con molta probabilità, un’origine vulcanica.
Il vulcani del Graham e del Terribile
Il Banco Graham (–6,9 m), su cui è impiantato l’edificio del Ferdinandea, ed i Banchi Nerita (–16,5 m) e Terribile (–20 m) costituiscono un ampio rilievo sottomarino, che ha la forma di un irregolare ferro di cavallo aperto verso N NW, che si innalza sul pavimento marino profondo da 250 a 500 m circa e che domina la piattaforma continentale siciliana prospiciente Sciacca.
In questo contesto fisiografico i rilievi bati-morfologici (Gabbianelli et al., 2007) hanno mostrato che il vulcano Ferdinandea non è isolato ma fa parte di un più grande sistema costituito da una decina di edifici ben strutturati e di dimensioni molto variabili, spesso allineati e allungati secondo l’orientazione del Canale di Sicilia (NW-SE) oppure, più di rado, lungo direttrici N-S.
È risultato che il Ferdinandea fa parte di un grande e composito edificio, allungato NW-SE (2, 5 ´ 1,5 km), costituito da una base comune su cui si innalzano due coni coalescenti. Il cono che ha eruttato nel 1831 e che ha costruito l’effimera Isola Ferdinandea è alto 160 m, ha un diametro alla base di 500 m ed è accompagnato verso nord-ovest, da un cono di dimensioni maggiori (base 1,5 km, altezza 200 m, apice –16 m).
Questo secondo edificio presenta, molto ben riconoscibili, i resti di un più antico orlo craterico, largo 1,3 km, che si segue da NE (–100 m) verso SE (–80 m) fino a SW (–120 m); da questo cratere è verosimilmente traboccata verso W SW una ben definita e tozza colata, più larga (1,5 km) che lunga (0,8 km), la quale da –110 m circa scende, invadendo il pavimento marino, fino alla profondità di oltre 200 m. La ripresa dell’attività eruttiva, evidentemente centrale, e la conseguente costruzione vulcanica, ha sepolto la parte nord-occidentale di questo primo bordo craterico; l’edificio che ne è risultato presenta all’apice una spianata craterica, larga circa 1 km, coronata dai resti del suo bordo, con al centro chiari segni di passata attività eruttiva intra-craterica; il fianco nord-est del cono è segnato in modo vistoso da numerose fumarole.
Sul Banco Graham, il cono che ha eruttato nel 1831 ed ha costruito l’effimera Isola Ferdinandea non è isolato ma si inserisce in un sistema vulcanico (A; vedi Fig. 5) che, nel raggio di 5 km circa, raggruppa almeno una decina di edifici (triangoli pieni in figura), ben sviluppati e di dimensioni molto variabili, con diametri che vanno da 1,5 km a meno di 50 m. Gli edifici sono spesso allineati e allungati secondo l’orientazione dello canale (NW-SE) oppure, più di rado, lungo direttrici N-S (traiettoria dell’interazione Africa-Europa). Il cono responsabile dell’eruzione del 1831 (B; vedi Fig. 5) fa parte di un più grande apparato, allungato in direzione NW-SE (2,5 ´ 1,5 km), costituito da due coni coalescenti (distanza degli apici 600 m) che si sviluppano su una base comune. L’edificio che accompagna a nord-ovest il Ferdinandea è di dimensioni maggiori ed ha una marcata forma tronco-conica; presenta un più vecchio e largo orlo craterico (B, 1), dal quale è traboccata verso W SW una grande e tozza colata (B, 2) che ha invaso il pavimento marino fino alla profondità di oltre 200 m; la spianata craterica sommitale mostra i resti di un secondo bordo craterico (B, 3), al centro del quale sono evidenti segni di passata attività intra-craterica (B, 4); il fianco nord-orientale del cono è segnato da un campo fumarolico attivo (B, 5), orientato rigorosamente nord-sud. A sud-ovest del Ferdinandea è in evidenza un edificio (B, 6) costituito da un anfiteatro craterico aperto verso nord-ovest, all’interno del quale una più giovane eruzione intra-craterica ha edificato un piccolo e regolare cono

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Profili da ecoscandaglio evidenziano alcune delle venute fumaroliche che segnano il fianco settentrionale del complesso del Ferdinandea (5 in Fig. 6). Si tratta di vere eruzioni gassose ad alta pressione che scaturiscono da differenti profondità (–95 e –170 m in A; –105 m in B) e sostengono dense e larghe (20-30 m) colonne di bolle, alte fino a 80-90 m. Dalla superficie sono ancora ben visibili le bolle che salgono verso l’alto e scoppiano raggiungendo il pelo dell’acqua.

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Ricostruzione di un piccolo e depresso edificio, alto poco meno di 10 m, che si è costruito su un fondale profondo attorno a 50 m, 3 km circa a sud-ovest del Banco Terribile. Le isobate sono espresse in metri. L’esplorazione del piccolo cono, eseguita utilizzando una telecamera montata in un Remote Operated Vehicle (ROV), ha mostrato che esso è costruito da depositi piroclastici fini, organizzati in strati e sottili banchi, verosimilmente prodotti da attività esplosiva idromagmatica
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Schizzo contemporaneo dell'eruzione dell'isola di Ferdinandea nel 1831. Il veliero a sinistra indica le dimensioni piuttosto piccole dell'isola appena emersa. Immagine nella collezione di Maurice e Katia Krafft e pubblicata da Simkin & Siebert 1994 (fonte: Smithsonian Institution - Global Volcanism Program)
Il campo esalativo, rigorosamente allungato nord-sud, dalla profondità di 90-100 m si segue verso il basso lungo tutto il fianco dell’edificio e poi attraverso il pavimento marino non vulcanico, con uno sviluppo complessivo probabilmente superiore a 3 km. Le fumarole hanno una portata veramente molto alta e danno origine a violente eruzioni gassose sotto forma di catene di bolle, le quali salgono per diverse decine di metri formando dense e larghe (20-30 m) colonne; più in alto le colonne si sfrangiano e si assottigliano, pur restando perfettamente riconoscibili fino alla superficie, dove si osservano ancora grosse bolle in risalita. Non si tratta delle solite esalazioni fumaroliche; sembrano dei geyser continui di vapore, espulso sotto forte pressione.
Abbiamo utilizzato (Sanfilippo, Lanzafame, 2006) una telecamera montata in un Remote Operated Vehicle (ROV), per studiare il campo fumarolico nel pavimento marino non vulcanico e lo abbiamo seguito verso nord, fino alla profondità di 173 m, senza raggiungerne il limite settentrionale. Lo studio dei fondali all’esterno della base settentrionale del cono, ha mostrato che essi sono costituiti da sedimenti mobili, sabbioso-fangosi, di colore biancastro e di natura organogena. Sono presenti anche blocchi isolati, il cui numero e la cui dimensione aumentano in prossimità del cono, ad indicare la loro origine gravitativa a spese dei versanti dell’edificio. Il pavimento marino è in larga misura ricoperto da un velo di sabbia nera, di origine vulcanica, composta da materiale ialoclastico, come ha mostrato l’analisi dei campioni di fondo raccolti nel corso delle indagini. Le sabbie vulcaniche, con evidenza, sono state osservate a ricoprire i blocchi e anche organismi sessili viventi. I fondali di tutta la zona esaminata (1 kmq circa) sono disseminati di depressioni, a forma di imbuto, di dimensioni metriche (diametro e profondità), spesso organizzati lungo orientazioni nord-sud, alcune delle quali sono ancora sede di fumarole molto deboli. Queste evidenze, in riferimento anche a quanto conosciuto a proposito dei campi esalativi in terra ferma, indicano che i piccoli crateri sono il prodotto di ormai esauriti flussi fumarolici ad alta energia i quali, quando erano in attività, scavavano le depressioni asportando i materiali più fini, portandoli in alto e disperdendoli nella zona. L’osservazione di granuli neri, di origine eruttiva, su organismi viventi conferma senza equivoci che il fenomeno è ancora in atto nelle adiacenti zone vulcaniche.
Interessanti informazioni a proposito del vulcanesimo del Banco Graham sono anche fornite dall’edificio ubicato 1,5 km circa a SW del Ferdinandea (Fig. 6B, 6). Si tratta di un cratere ad anfiteatro, aperto verso nord-ovest, largo 750 m ed alto 70 m sul pavimento marino profondo 200 m; all’interno di questa struttura, in posizione centrale, il perdurare dell’attività vulcanica ha costruito un più giovane e più piccolo (diametro alla base 400 m) cono, discretamente regolare, alto poco meno di 100 m.
Estendendo i rilievi batimetrici dal Banco Graham fino al Terribile (le culminazioni dei due banchi distano 14 km), è emerso che il fondo marino, la cui profondità varia da circa –200 m, in prossimità del Ferdinandea, ai –20 m del Terribile, è butterato da piccoli edifici vulcanici, i quali essendo alti in genere poche decine di metri, hanno dimensioni molto inferiori a quelli che dominano il sistema del Ferdinandea ma sono in numero nettamente superiore. Viene riportata, come esempio, la ricostruzione di un piccolo e depresso edificio, rilevato 3 km circa a SW dal Banco Terribile, su un fondale profondo attorno a 50 m (Fig. 8). E’ alto poco meno di 10 m e all’esame effettuato a mezzo di una telecamera su ROV, è risultato costituito da materiale fine variamente stratificato. Queste osservazioni visive, la forma fortemente tronco-conica dell’edificio e le dimensioni dell’area craterica, il cui diametro è di poco inferiore a quello della base dell’edificio, testimoniano, senza ambiguità, sull’origine della piccola struttura da attività eruttiva piroclastica. Il buono stato di conservazione del piccolo cono, in relazione alla sua composizione piroclastica facilmente erodibile, fornisce indicazioni a proposito all’età dell’eruzione responsabile, certamente recente, probabilmente olocenica.
Dal Banco Nerita, la cui culminazione dista da quella del Terribile 12,5 km, abbiamo dragato depositi sciolti attuali fondo marino (fango e sabbia ricchi di resti organogeni) e calcareniti organogene tardo pleistoceniche, discretamente cementate. Non siamo riusciti a portare in superficie le rocce substrato di questa sottile copertura sedimentaria e non abbiamo, pertanto, informazioni sufficienti per estendere la presenza di vulcanesimo a questo banco o escluderla. I rilievi bati-morfologici mostrano, però, 1) che il Nerita ed i Banchi Graham e Terribile, questi ultimi ad attività vulcanica, costituiscono chiaramente un unico elemento fisiografico; 2) che sulla sua superficie, in particolare sulla sua terminazione settentrionale, sono presenti forme coniche più o meno regolari, di varie dimensioni che, pur con tutta la prudenza del caso, potrebbero essere ricondotte ad edifici vulcanici.

Conclusioni
Il campo fumarolico del Ferdinandea è troppo esteso ed ha emissioni di portata troppo elevata per essere spiegato attraverso l’attività di una faglia che depressurizza un antico corpo vulcanico; più verosimilmente la faglia, la quale fa parte del panorama tettonico regionale, ha facilitato l'ingresso di nuovo magma all’interno del vulcano, in posizione non molto profonda. Queste considerazioni, che presuppongono la stabilità nel tempo del vulcanesimo, sono coerenti con la presenza, sempre al Ferdinandea, di orli craterici grosso modo concentrici di differenti età e con le evidenze di attività intra-craterica, i quali segnano l’apice del cono più occidentale dell’apparato; esse trovano inoltre conferma nell’edificio che, 1,5 km a SW del Ferdinandea, è costituito da un grande anfiteatro craterico, all’interno del quale il perdurare dell’attività vulcanica ha costruito un più giovane cono. Ne discende che le eruzioni della piattaforma continentale non sono il prodotto di semplici attività fissurali, controllate dall’apertura delle faglie che episodicamente le alimentano; al contrario le eruzioni sono il prodotto di una notevole persistenza temporale e spaziale del vulcanesimo, sostenuto da camere magmatiche ben strutturate e ben alimentate.
Il piccolo cono piroclastico, rilevato in corrispondenza del Banco Terribile, e gli altri numerosi e piccoli edifici che si rinvengono tra il Terribile ed il Graham, l’apparato vulcanico del Ferdinandea e i numerosi coni che lo accompagnano, confermano l’idea che il grande rilievo sottomarino prospiciente Sciacca sia sede di un’unica area vulcanica, attiva e di grandi dimensioni (25 × 30 km circa). Le attività storiche del Ferdinandea, l’età molto recente del conetto del Terribile, la consistenza spaziale e temporale delle eruzioni finiscono per avvicinare il vulcanesimo attivo, e quindi le possibilità di eruzioni, alle coste meridionali della Sicilia, fino ad alcune decine di chilometri da Capo San Marco e da Sciacca, distanza non molto più grande di quella che separa la cattedrale di Catania dai crateri sommitali dell’Etna.
Queste evidenze hanno chiare implicazioni con quel che riguarda il rischio vulcanico e sismico, e motivano un approfondito programma di studio e la messa in atto di un sistema di monitoraggio. Nonostante le difficoltà tecniche ed operative, i primi risultati, ancorché parziali, sono incoraggianti e stimolanti.
Questo articolo è tratto da:
Cutrone A., Santo A.P., Lanzafame G., Tessarolo C., Macaluso D., 2006. La Crociera della Universitatis sul Banco Graham: prime segnalazioni di emissioni fumaroliche ad alta energia nell’area della Ferdinandea (Canale di Sicilia). V Convegno Nazionale CoNISMA, Viareggio (Lu), novembre 2006.
Gabbianelli G., Rossi P.L., Lamberti L.O., 2007. The Foerstner and Greaham volcanoes in the Sicily Strait (Central Mediterranean sea): new bathymeric and morfological data. Geoitalia 2007 - VI Forum Italiano di Scienze della Terra, Rimini, settembre 2007.
Sanfilippo R., Lanzafame G., 2006. Rilievi di fondo nella zona della Ferdinandea (-173 metri). Rapporto Interno INGV-UNICT, 3 pp.

Ferdinandea, l'isola che non c'è più

La Sicilia è stata chiamata anche, « l’isola del fuoco » per il suo vulcano Etna, ma sarebbe meglio chiamarla
« isola del fuoco in un mare di fuoco » se si pensa che quasi tutte le piccole isole che le fanno corona sono di origine vulcanica. 
I fenomeni vulcanici nel mare che circonda l' Isola sono noti fin da tempi antichissimi.
Aristotele, nel libro delle Meteore, racconta che l'isola di Vulcano, nelle Eolie, spuntò dal mare fra il fragore di esplosioni vulcaniche; lo Stromboli comparve poco prima dell'età di Plinio, e gli storici romani ricordano eruzioni sottomarine nel canale di Sicilia.
In questo tratto del Mediterraneo le eruzioni sono più frequenti che altrove e si verificano particolarmente nel tratto di mare che va da Capo Granitola a Capo Bianco, in corrispondenza di quei bassifondi detti banchi o secche, alcuni dei quali sono ricoperti di coralli: i famosi banchi di Sciacca. Dall’eruzione avvenuta su uno di questi banchi in epoca immemorabile, nacque l'isola di Pantelleria, esempio perfetto di isola vulcanica che culmina nella Montagna grande, avanzo di un cratere vulcanico contornato da altri 24 crateri detti « cuddìe ».
Precisamente fra Pantelleria e Sciacca, nel 1831, spuntò un’Isola vulcanica che, dalla sua nascita alla sua scomparsa, poté essere seguita e studiata dai più illustri scienziati dell’epoca.
Il 28 giugno 1831 si cominciarono ad avvertire a Sciacca ripetute scosse di terremoto (avvertite anche a Palermo) che durarono fino al 10 luglio e produssero lesioni in alcune case. Il mare, nel tratto nel quale doveva sorgere la nuova isola, fu violentemente agitato, come asserì il capitano Pulteney Malcon il quale vi passò col suo bastimento.  Il 4 luglio si avvertì odore di idrogeno solforato proveniente dal mare, in quantità tale da annerire gli oggetti d'argento.
Il 13 luglio, si vide nettamente dalla piazza di S. Domenico, sempre di Sciacca una colonna di fumo, alla distanza di circa 30 miglia, nel luogo detto: « secca di mare ». Si pensò ad un piroscafo di passaggio; poi, data la persistenza del fumo, ad un piroscafo in fiamme. In quello stesso giorno il capitano Francesco Trafiletti. Comandante del brigantino Gustavo, proveniente da Malta, riferì che a 30 miglia da Capo S. Marco aveva notato un ribollimento delle acque che aveva creduto effetto dell’ agitarsi e del dibattersi di grossi cetacei.
La colonna di fumo, il ribollimento delle acque ed i boati furono notati dal 13 al 15 luglio anche dal capitano Mario Provenzano, comandante la bombardiera Madonna delle Grazie, che faceva rotta per Malta.
Due giorni dopo il capitano Corrao di Sciacca ed i marinai che tornavano dalla pesca, passando da quel punto notarono gran quantità di pesci galleggianti, alcuni morti, altri tramortiti ed una colonna di fumo di circa 15 metri di altezza che si alzava impetuosamente dal mare, accompagnata da forti brontolii e dal gorgoglio delle acque circostanti.
Dopo un paio di giorni cominciò l’eruzione di lapilli, di pomici. di tufi e di scorie infuocate che, cadendo roventi nel mare, ne determinavano uno spumeggiante stridore e si spingevano fino alla spiaggia di Sciacca.
Il 17 luglio si era già formato un isolotto che cresceva rapidamente in dimensioni e in altezza.
La Deputazione sanitaria di Sciacca mandò sul posto una barca peschereccia comandata da Michele Fiorini, il quale piantò sulle falde del vulcano nascente un remo, come primo scopritore, e portò a Sciacca le prime notizie sulla nuova isola.
Questa era sorta a 37°, 11’ di latitudine nord e 12°, 44’ di longitudine est da Greenwich, in una zona profonda 180 metri, sul banco detto
«
secca di mare » che fu poi chiamato banco Graham.

La notizia della nascita della nuova isola si sparse rapidamente; da Palermo fu inviata la real corvetta Etna, al comando del capitano di fregata Raffaele Cacàce; da Marsala partì un brigantino inglese con a bordo anche molti curiosi. I fenomeni eruttivi furono intensissimi dal 18 al 24 luglio, poi cessarono fino ad estinguersi nei primi di agosto, epoca in cui l’isola raggiunse il suo massimo sviluppo: 4800 metri di circonferenza e 63 metri di altezza massima.
Essa si presentava di forma circolare ed era irregolarmente alta; infatti dal lato di nord-est aveva la sua massima altezza, dal lato sud era alta appena m. 8,50 ed ancor meno dal lato ovest. Nel mezzo era un falso piano che nella parte nord comunicava col mare ed in esso si apriva il cratere della circonferenza di 184 metri, dove si aprivano due bocche eruttive, dalle quali venivano emessi ad intermittenza, i materiali vulcanici. L'eruzione durava da mezz'ora ad un'ora e poi riprendeva dopo qualche minuto, determinando così una deposizione a strati dei materiali eruttati. Cessata l'eruzione, le due bocche del cratere si riempirono di acqua marina che vi entrava da nord e si trasformarono così in due laghetti dove l'acqua mandava vapore fino alla altezza di qualche metro. Uno dei due laghetti aveva una circonferenza di venti metri ed una profondità di due l’acqua contenuta era di color giallo rossastro ed aveva sapore salino piccante; l'altro laghetto era più piccolo e l'acqua aveva color giallo e sapore sulfureo. L'analisi delle dette acque dimostrò trattarsi di acqua marina con sali ferrosi ed idrogeno solforato. L'eccezionale fenomeno geologico fu osservato e studiato da numerosi scienziati fra cui i tedeschi Hoffinann, Schultz e Philippi, gli inglesi Davy e Smyth, i francesi Jonville e Prévost. Fra gli italiani furono: Domenico Scinà (1765-1837) che pubblicò le sue osservazioni nelle « Effeméridi siciliane » (1832 - Vol. 2°) e Carlo Gemmellaro (1787-1866) professore di geologia e mineralogia nell'Università di Catania, il quale pubblicò una chiara e precisa relazione negli « Atti dell'Accademia Gioenia di Catania » (1831 - Vol. 8°). Molti furono i curiosi che si recarono a Sciacca per portarsi sulla nuova isola ed alcuni di essi ne hanno lasciato descrizioni in giornali e, riviste dell'epoca, specialmente gli stranieri. fra cui, in particolare modo, gli inglesi, due dei quali, malgrado il calore emanato dai materiali eruttivi, nei quali si affondava fino alla caviglia, con la classica flemma britannica, si sedettero a far colazione!
Gli inglesi ebbero una particolare predilezione per la nuova isola che si trovava sulla rotta per Malta
La Gazzetta di Malta del 10 agosto 1831 riferiva che il capitano Sanhouse, comandante del cutter Hind, il 2 agosto era sbarcato sulla isola e vi aveva piantato la bandiera inglese; un altro inglese, il 7 agosto partì da Sciacca con la barca di Domenico Cusumano, portando una bandiera inglese che avrebbe piantato nell'isola, ma vista la furia del vulcano, stimò più prudente starsene ad un miglio di distanza.
All'isola furono dati sette nomi: Sciacca, Nertita, Corrao, Hotham, Giulia, Graham, Ferdinandea.
La Società Reale e la Società di geologia di Londra adottarono il nome di Graham, uomo politico inglese che partecipò alle vicende della costituzione siciliana del 1812 e fu poi ministro degli interni quando furono aperte le lettere di Mazzini che, comunicate al governo borbonico, causarono la fucilazione dei fratelli Bandiera e dei loro animosi compagni.
Il 17 agosto 1831 Ferdinando II di Borbone, allora regnante su Napoli e Sicilia, con atto sovrano includeva l'isola nel proprio regno e le dava il nome di Ferdinandea, proposto dal Gemmellaro.
Il 29 settembre il francese Derussat, che faceva parte della spedizione scientifica del prof. Prévost, issò la bandiera francese sulla parte più alta dell'isola, alla quale fu dato il nome di Giulia a ricordo della sua apparizione nel mese di luglio. Intanto la nuova isola, flagellata dalle onde, diminuiva progressivamente; quando la visitò il Prévost il suo perimetro era ridotto a 700 metri. Verso la fine di ottobre l'isola emergeva di circa un metro dal livello del mare ed il cratere era appena riconoscibile. L'8 dicembre il capitano Vincenzo Allotta, comandante del brigantino Achille, al posto dell'isola trovò una piccola colonna di acqua calda « con puzza di bitume ».
Il 17 dicembre due ufficiali dell'Ufficio topografico di Napoli, recatisi sul posto, trovarono che tutta l'isola era stata coperta dal mare. Nel gennaio dell'anno successivo (1832) il vice ammiraglio Hugon e il capitano Swinburne trovarono solo un bassofondo. Verso la fine del 1835 al posto dell'isola esisteva un piccolo monte subacqueo esteso per circa 1100 metri e la cui cima era a circa tre metri dalla superficie del mare, costituendo un pericolo per la navigazione. Il 12 agosto 1863 il cratere si riaprì ed in pochi giorni si formò una nuova isoletta che fu subito distrutta dalle onde marine.
Secondo gli ultimi rilievi fatti dall'Istituto Idrografico della Marina Militare (1925) dell'isola rimane, nella parte sud orientale del banco Graham, un cono vulcanico, la cui base ha la forma di un cerchio di circa 500 metri di diametro, alla quota di circa 25 metri sotto il livello marino e la cui sommità sale ad otto metri sotto il livello del mare.

Fonte: grisafi-sicilia.com

giovedì 8 luglio 2010

Nuova spedizione sull'Isola Ferdinandea

Una nuova sonda, tecnologicamente più avanzata, per studiare ancora una volta il fenomeno sottomarino dell’isola Ferdinandea. L’Istituto nazionale di geologia e vulcanologia, prosegue il suo interesse per l’isolotto emerso a 25 miglia dalla costa nel luglio del 1831 dopo un terremoto vulcanico, in pieno canale di Sicilia, per poi scomparire sei mesi dopo. L’Ingv ha presentato una nuova richiesta di autorizzazione alle autorità marittime ed attende una risposta per avviare una seconda spedizione, dopo quella che nel settembre del 2006 consentì di collocare una sonda parametrica e rilevare, dopo dodici mesi di permanenza nei fondali, un’attività che necessita di ulteriori approfondimenti. Dalla lettura dei dati forniti dalla sonda prelevata nel settembre del 2007, effettuata negli Stati Uniti, sarebbero emerse informazioni interessanti riguardanti attività vulcanica avvenuta nel mese di gennaio del 2007. Occorrono però ulteriori elementi e Gaspare Falautano, presidente della locale sezione della Lega Navale Italiana, ci conferma ancora una volta la necessità che il fenomeno della Ferdinandea venga studiato in maniera approfondito e che si istituisca in zona un punto permanente di controllo e studio scientifico.G.ReccaFonte: TeleRadioSciacca.it

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