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 |  Altezza: -6.9 m (Banco Graham) Ubicazione: 37.10°N, 12.70°E 
Superficie totale: sconosciuta 
 Ferdinandea è il nome italiano dato ad  una piccola isola vulcanica emersa dal mare al largo sud-occidentale  della Sicilia nell'estate del 1831. Oggetto di frequenti "scoop"  giornalistici a proposito di un'imminente ri-emersione dell'isola (vedi, per esempio, The Times, London, del 27 novembre 2002 ),  Ferdinandea è anche conosciuta come "l'isola che non c'è" dovuto al  fatto che l'isola nata nel 1831 è sopravissuta per soli pochi mesi  all'azione erosiva di onde e vento. Inoltre, sul livello internazionale,  sono in uso diversi altri nomi per la stessa isola (che non c'è):  Graham in inglese, Julia in francese, nonché Campi Flegrei del mar di  Sicilia per il complesso vulcanico al quale appartiene (Global Volcanism Program ).
 Il testo seguente, a cura di Giuseppe  Falzone, Gianni Lanzafame (INGV-Catania) e Piermaria Rossi (Dipartimento  di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali, Università di Bologna), è  stato pubblicato nel volume 29 (dicembre 2009) della rivista Geoitalia (clicca qui per scaricare il pdf del numero intero ).
   
 Tra la  Sicilia e l’Africa settentrionale, il Mediterraneo centrale è  caratterizzato dall’allineamento dei bacini subsidenti di Pantelleria,  Linosa e Malta che, nel loro insieme, sono organizzati a formare il  Canale di Sicilia. Il canale è il prodotto della collisione tra l’Africa  e l’Europa, la quale è ancora in atto e si esercita lungo traiettorie  circa nord-sud. In questo contesto, il canale è controllato da due  sistemi principali di faglie, orientati rispettivamente NW-SE e circa  nord-sud. Le discontinuità che individuano e bordano i bacini sono sede  di subsidenze veramente importanti, che superano 3.000 m nella fossa di  Linosa.
 
 A partire da circa 8 milioni di anni  fa, nel canale ha preso posto un vulcanesimo toleiitico e alcalino, che  ha creato le due isole vulcaniche di Pantelleria e Linosa ed un numero  elevato di apparati sottomarini, molti dei quali ancora sconosciuti. Il  vulcanesimo è ancora attivo e le eruzioni storiche sono tutte  sottomarine; per alcune di esse abbiamo solo indicazioni vaghe, altre  sono state segnalate ma mai controllate; possediamo notizie certe solo  delle due attività che hanno portato alla formazione delle isole  effimere di Ferdinandea (1831) e Foerstner (1891), quest’ultima 4-5 km a  NW delle coste dell’Isola di Pantelleria.  La nascita dell’Isola Ferdinandea fu annunciata, tra il 22 ed il 26  giugno del 1831, da terremoti avvertiti fino a Marsala, Trapani, Palermo  e che a Sciacca causarono lesioni alle abitazioni e caduta di  calcinacci. Poi in successione, il 28 giugno il capitano C.H. Swinburne  della marina inglese segnalò di aver «visto un fuoco in lontananza in mezzo al mare»;  il 2 luglio l’acqua ribolliva alla Secca del Corallo (oggi Banco  Graham), dove alcuni marinai, che raccoglievano il pesce ucciso dalle  attività vulcaniche, svennero nelle loro barche a causa delle  esalazioni; il 5 luglio forti scosse sismiche furono sentite fino a  Marsala; infine, il 7 luglio 1831,  F. Trefiletti, comandante del Gustavo, vede per primo l’isola, 33 miglia a sud-ovest da Sciacca, alta 30 palmi sul pelo del mare, che «sputa cenere e lapilli».Di notte l’attività era ben visibile da Sciacca, Menfi, Mazzara e  Marsala. L’eruzione, ormai subaerea, costruì un’isola, il cui colore  dominante era il nero e che risulterà alla    fine alta 60 m, larga poco  meno di 300 e con un perimetro di quasi 1 km. Le attività eruttive  interagirono per tutto il tempo con il mare e il cratere, rotondeggiante  e largo poco meno di 30 m, fu sempre invaso dall’acqua, che si  abbassava e s’innalzava nel condotto e, traboccando, formava un fangoso  ruscello che scendeva fino al mare e lo intorbidiva. Tutto l’edificio  era saturo d’acqua. Sui pendii del cono, a 25 m dalla riva, furono  descritti due laghetti, il più basso pieno di acque giallo-solfuree, il  secondo di acque giallo-rossastre, che ribollivano gorgogliando;  probabilmente erano crateri secondari, perché durante l’eruzione furono  segnalate fino a tre alte colonne di fuoco che s’innalzavano  contemporaneamente.
 
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  Schema bati-morfologico del Canale di Sicilia. FL: fossa di Linosa. Modificato da General Bathymetric Chart of the Oceans, 2003 
  
  Carlo Gemmellaro, professore di  “storia naturale” all’Università di Catania, studioso dell’Etna e quindi  profondo conoscitore dei fenomeni vulcanici, tra l’11 ed il 14 agosto  visitò il teatro eruttivo lasciandoci un’immagine delle esplosioni del  Ferdinandea (A, sopra) che presenta chiare analogie con ciò che ha  mostrato (B, sotto) il vulcano Surtsey (Islanda), entrato in attività  nel 1963. In entrambi i casi il mare invade il cratere, interagisce con  il magma e causa eruzioni esplosive (attività surtseyana). Sono emessi  vapori bianchi e ceneri nere. Queste ultime sono espulse a “coda di  gallo” e ciascuna cuspide nelle digitazioni della nube corrisponde a una  bomba lavica di notevoli dimensioni. A questo proposito Gemellaro  riportò che le esplosioni lanciavano «grossissimi massi» fino  all’altezza di una lega (5-6 km) 
  
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 | Il primo studioso a giungere sul posto fu Karl Hoffman , docente di geologia presso l'Università di Berlino , che si trovava casualmente in Sicilia . Il governo borbonico inviò sul posto il fisico Domenico Scinà .  Carlo Gemmellaro, professore all’Università di Catania ed esperto  vulcanologo, dall’11 al 14 agosto visitò il teatro eruttivo stilando una  dettagliata relazione e lasciandoci una immagine delle esplosioni del  Ferdinandea molto simile a quanto ci ha mostrato nel 1963, in Islanda,  l’eruzione e l’emersione dell’isola Surtsey. Il 26 settembre  dello stesso anno la Francia  inviò una missione diretta dal geologo Constant Prévost ,  il quale fece una relazione alla Société Géologique de France. Furono  eruttati grossi blocchi, ceneri e scorie; pomici nere, anche in grossi  elementi, galleggiarono per un vasto tratto di mare attorno al teatro  eruttivo; le zone costiere della Sicilia prospicienti il vulcano furono  coperte dai prodotti delle esplosioni; grossi frammenti arrivarono a  Sciacca e danneggiarono le tegole dei tetti; il materiale espulso diede  origine ad inquietanti aurore boreali, che avanzando da ponente verso  nord-est, tinsero di rosso cupo i tramonti della Sicilia occidentale e  che il 14 agosto illuminarono i cieli di Roma, Firenze, Lucca e Genova. L’eruzione ebbe termine il 20 agosto. Non furono mai emesse colate di  lava, a proteggere dall’erosione le rocce incoerenti eruttate (scorie,  pomici, lapilli, ceneri). Pertanto, finita l’eruzione e con essa la  costruzione dell’isola, il mare iniziò la sua opera demolitrice: già l’8  settembre, 19 giorni dopo la fine dell’attività, l’isola era  visibilmente più bassa; il 27 settembre era ridotta a una  piccola  collina di sabbia fine; il 26 ottobre restava solo un rilievo di pochi  palmi d’altezza, che nei giorni di tempesta si confondeva con il mare ma  che conservava ancora al centro il cratere, invaso da acqua bollente.Il successivo 8 dicembre, il capitano V. Allotta, comandante dell’Achille, ne stilò il certificato di morte, annotando che non vi era «vestigia alcuna dell’isola vulcanica»;  permanevano il ribollio delle acque e soffioni che s’innalzano  nell’aria. Il mare aveva vinto, ponendo fine alla vita di un’isola  effimera ma anche al contenzioso diplomatico giocato per il suo possesso  da Inghilterra, Francia e Regno di Napoli, durante il quale si era  sentito persino tintinnio di spade e a memoria del quale restano i nomi  differenti che, ancora oggi, contraddistinguono l’isola sorta sulla  Secca del Corallo, la quale è chiamata Graham in Inghilterra, Julia in  Francia e Ferdinandea in Italia. La cronistoria dell’insuccesso del  vulcano Ferdinandea deve essere completata ricordando che notizie, mai  però confermate, segnalarono un’attività sottomarina nel 1833 e la  riemersione dell’isola, a pelo d’acqua, per pochi giorni, nel 1863.
 | La piattaforma continentale  siciliana prospiciente Sciacca, 20 km a sud della costa, è dominata da  un rilievo sottomarino che ha la forma di un dissimmetrico ferro di  cavallo aperto verso N NW e che all’incirca si estende per 25 km da est a  ovest e 30 km da nord a sud. Questo grande rilievo si innalza sul  pavimento marino profondo tra 500 (est) e 250 m (ovest) ed ha le sue  culminazioni a nord nel Banco Nerita (–16,5 m), ad ovest nel Banco  Graham (–6,9 m) e ad est nel Banco Terribile (–20 m).  
  
 Per monitorare le eventuali  variazioni di profondità delle radici sottomarine del vulcano  Ferdinandea, abbiamo ancorato sul fondo un misuratore di pressione  completato da un dispositivo di registrazione dei dati e lo abbiamo  recuperato dopo 6 mesi di funzionamento (metà ottobre 2006-metà aprile  2007). Durante questo periodo lo strumento ha acquisito, con una cadenza  di 15 minuti, la pressione sul fondo (A). La media mobile dei valori  rilevati è una curva (B), rappresentativa della profondità dello  strumento rispetto alla superficie del mare. Le variazioni di profondità  rilevati restano all’interno dell’errore strumentale dell’apparecchio  di misura; tuttavia, la media a 150 giorni è una curva regolare, la  quale sembrerebbe fornire indicazioni a proposito del trend evolutivo  della batimetria del corpo vulcanico studiato | 
 
 
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 | Tra ottobre 2006 e aprile 2007, in  corrispondenza dello strumento, la prevedibile evoluzione stagionale  della temperatura del mare è interrotta (A) da un picco termico (+1,1  °C), nettamente superiore all’errore strumentale dell’apparecchio di  misura (1/10 di grado; istogramma in B). La provenienza dai quadranti  settentrionali e la velocità (scala verticale moltiplicata per 10 m/s)  del vento (C), acquisite dalla stazione mareografica di Porto Empedocle  (dati elaborati presso l’Istituto per l'Ambiente Marino Costiero del  CNR, Mazara del Vallo), escludono l’ipotesi di venti caldi di origine  africana nella settimana in cui si è manifestato il picco (31 dicembre  2006-6 gennaio 2007). Durante questo periodo, la mancanza di  mescolamento delle acque, testimoniata dall’andamento del battente  d’acqua sopra lo strumento che, a causa dell’assenza di modo ondoso  significativo, rileva solo le maree (D; mare in “calma piatta”),  parrebbe suggerire l’origine locale (vulcanica?) del netto e brusco  aumento della temperatura marina | Le radici sottomarine del Ferdinandea 
 I rilievi batimetrici condotti nel 1883  trovarono, dove prima era sorta l’isola, un vasto e basso fondale da cui  si innalzavano, fino a –2,7 e –3,3 m, due pinnacoli di roccia dura  (basalto), verosimilmente i resti del camino d’alimentazione del  vulcano, i quali furono distrutti con esplosivo a causa del pericolo che  rappresentavano per la navigazione. L’Istituto Idrografico della  Marina, nel 1914, riportava un fondale di 50  m, con due culminazioni  profonde –34 (l’occidentale) e –8 m (l’orientale). Misure eseguite dal  Consiglio Nazionale delle Ricerche nel 1972 hanno indicato un basso  fondale sub-pianeggiante, tra –20 e –30 m, con al centro una guglia  isolata di basalto, che s’innalzava fino alla profondità di –8,8 m.  L’Istituto Idrografico della Marina, nel dicembre 2002 e nel maggio  2003, ha rilevato il punto più superficiale del vecchio edificio  vulcanico a –6,9 m. Le variazioni della profondità nel tempo sono sia  positive che negative, quindi non attribuibili all’erosione. Ci sono due  possibili spiegazioni per queste variazioni: errori di misurazione  oppure reali variazioni di batimetria causate dall’attività del vulcano. | 
 
 
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 | Per risolvere l’ambiguità abbiamo  costruito un profondimetro e lo abbiamo ancorato sul fondo ad una  profondità di circa 19 m, per proteggerlo da possibili manomissioni in  una zona molto frequentata da pescatori e sommozzatori. Il nostro scopo  era, infatti, di rilevare non tanto la profondità esatta dell’apice  della secca quanto le eventuali variazioni batimetriche dell’intero  apparato vulcanico. Lo strumento consiste in un misuratore di pressione  assoluta completato da un apparato di registrazione in continuo, a lunga  autonomia, capace di misurare e registrare non solo la pressione sul  fondo ma anche altri parametri dell’ambiente contermine, tra i quali  abbiamo scelto di rilevare la temperatura dell’acqua.  Abbiamo recuperato il dispositivo dopo 6 mesi di funzionamento, dalla  metà di ottobre 2006 alla metà di aprile 2007. Si è trattato, in  assoluto, del primo tentativo di monitoraggio dei resti del vulcano  Ferdinandea e, più in generale, dei vulcani attivi della piattaforma  continentale della Sicilia meridionale. Il profondimetro ha misurato,  con una cadenza di 15 minuti, il peso del battente d’acqua che lo  copriva, evidenziando le sue evoluzioni dovute sia alle variazioni della  pressione atmosferica, sia alle condizioni marine (maree, moto ondoso,  tempeste, ecc.), sia al passaggio di navi ed attività antropiche di  vario genere. La media mobile dei valori misurati ha però mostrato con  chiara evidenza che tutte queste variabili hanno rappresentato una sorta  di rumore di fondo attorno ad una curva “pulita”, che rappresenta la  profondità dello strumento rispetto alla superficie media del mare.  Durante il periodo di funzionamento è stata rilevata una diminuzione  della profondità, ma i valori sono al limite dell’errore strumentale del  dispositivo di misurazione e, anche in relazione al periodo di  osservazione troppo breve, rendono l’informazione poco significativa. La  evidente regolarità della curva potrebbe, però, fornire ragionevoli  indicazioni a proposito del trend evolutivo della batimetria delle  radici del vulcano Ferdinandea.Interessanti sono stati anche i dati rilevati a proposito della  temperatura dell’acqua. Tra l’autunno 2006 e la primavera 2007, al  Ferdinandea, la temperatura di fondo del mare da 21 °C circa è diminuita  gradualmente fino a stabilizzarsi, tra febbraio e marzo, attorno 15°,  prima di cominciare a risalire verso i valori estivi. Questa regolare e  prevedibile evoluzione è stata interrotta da un picco termico anomalo,  caratterizzato da un aumento della temperatura dell’acqua di più di 1  °C, che si è realizzato, in modo repentino, nell’arco di 36 ore, tra il  31 dicembre ed il 2 gennaio, e che più lentamente si è esaurito nei  successivi 5-6 giorni. I valori misurati sono molto al di sopra  dell’errore strumentale del termometro (un decimo di grado).
 
 Oscillazioni della temperatura del  mare, con variazioni di tale entità e con questa strutturazione, non  possono essere addebitate a correnti marine mediterranee, i cui effetti  termici, positivi e negativi, sono molto più lenti e molto più  irregolari nelle loro manifestazioni. Non è nemmeno possibile fare  riferimento ad acque più calde di origine africana, spostate da forti  venti provenienti dai quadranti meridionali, perché nel periodo attorno  al picco termico i venti erano deboli e provenienti dalla costa  siciliana. Resterebbe la possibilità di una origine locale del  riscaldamento dell’acqua. Possibilità questa che sembra trovare conferma  dall’incrocio dei dati di temperatura con quelli relativi al battente  d’acqua, il quale mette in evidenza che il moto ondoso è stato molto  debole tra il 27 dicembre ed il 3 gennaio e si è ridotto ancora di più  durante il periodo in cui è stato rilevato il brusco innalzamento di  temperatura: la mancanza di moto ondoso e quindi di mescolamento delle  acque renderebbe più efficiente un meccanismo di trasferimento del  calore, il quale pertanto avrebbe una valenza locale e, nel nostro caso,  con molta probabilità, un’origine vulcanica.  Il vulcani del Graham e del TerribileIl Banco Graham (–6,9 m), su cui è impiantato l’edificio del  Ferdinandea, ed i Banchi Nerita (–16,5 m) e Terribile (–20 m)  costituiscono un ampio rilievo sottomarino, che ha la forma di un  irregolare ferro di cavallo aperto verso N NW, che si innalza sul  pavimento marino profondo da 250 a 500 m circa e che domina la  piattaforma continentale siciliana prospiciente Sciacca.
 
 In questo contesto fisiografico i rilievi bati-morfologici (Gabbianelli et al.,  2007) hanno mostrato che il vulcano Ferdinandea non è isolato ma fa  parte di un più grande sistema costituito da una decina di edifici ben  strutturati e di dimensioni molto variabili, spesso allineati e  allungati secondo l’orientazione del Canale di Sicilia (NW-SE) oppure,  più di rado, lungo direttrici N-S.  È risultato che il Ferdinandea fa parte di un grande e composito  edificio, allungato NW-SE (2, 5 ´ 1,5  km), costituito da una base  comune su cui si innalzano due coni coalescenti. Il cono che ha eruttato  nel 1831 e che ha costruito l’effimera Isola Ferdinandea è alto 160 m,  ha un diametro alla base di 500 m ed è accompagnato verso nord-ovest, da  un cono di dimensioni maggiori (base 1,5 km, altezza 200 m, apice –16  m).Questo secondo edificio presenta, molto ben riconoscibili, i resti di  un più antico orlo craterico, largo 1,3 km, che si segue da NE (–100 m)  verso SE (–80 m) fino a SW (–120 m); da questo cratere è verosimilmente  traboccata verso W SW una ben definita e tozza colata, più larga (1,5  km) che lunga (0,8 km), la quale da –110 m circa scende, invadendo il  pavimento marino, fino alla profondità di oltre 200 m. La ripresa  dell’attività eruttiva, evidentemente centrale, e la conseguente  costruzione vulcanica, ha sepolto la parte nord-occidentale di questo  primo bordo craterico; l’edificio che ne è risultato presenta all’apice  una spianata craterica, larga circa 1 km, coronata dai resti del suo  bordo, con al centro chiari segni di passata attività eruttiva  intra-craterica; il fianco nord-est del cono è segnato in modo vistoso  da numerose fumarole.
 
 | Sul Banco Graham, il cono che ha  eruttato nel 1831 ed ha costruito l’effimera Isola Ferdinandea non è  isolato ma si inserisce in un sistema vulcanico (A; vedi Fig. 5) che,  nel raggio di 5 km circa, raggruppa almeno una decina di edifici  (triangoli pieni in figura), ben sviluppati e di dimensioni molto  variabili, con diametri che vanno da 1,5 km a meno di 50 m. Gli edifici  sono spesso allineati e allungati secondo l’orientazione dello canale  (NW-SE) oppure, più di rado, lungo direttrici N-S (traiettoria  dell’interazione Africa-Europa). Il cono responsabile dell’eruzione del  1831 (B; vedi Fig. 5) fa parte di un più grande apparato, allungato in  direzione NW-SE (2,5 ´ 1,5 km), costituito da due coni coalescenti  (distanza degli apici 600 m) che si sviluppano su una base comune.  L’edificio che accompagna a nord-ovest il Ferdinandea è di dimensioni  maggiori ed ha una marcata forma tronco-conica; presenta un più vecchio e  largo orlo craterico (B, 1), dal quale è traboccata verso W SW una  grande e tozza colata (B, 2) che ha invaso il pavimento marino fino alla  profondità di oltre 200 m; la spianata craterica sommitale mostra i  resti di un secondo bordo craterico (B, 3), al centro del quale sono  evidenti segni di passata attività intra-craterica (B, 4); il fianco  nord-orientale del cono è segnato da un campo fumarolico attivo (B, 5),  orientato rigorosamente nord-sud. A sud-ovest del Ferdinandea è in  evidenza un edificio (B, 6) costituito da un anfiteatro craterico aperto  verso nord-ovest, all’interno del quale una più giovane eruzione  intra-craterica ha edificato un piccolo e regolare cono 
  
  Profili da ecoscandaglio  evidenziano alcune delle venute fumaroliche che segnano il fianco  settentrionale del complesso del Ferdinandea (5 in Fig. 6). Si tratta di  vere eruzioni gassose ad alta pressione che scaturiscono da differenti  profondità (–95 e –170 m in A; –105 m in B) e sostengono dense e larghe  (20-30 m) colonne di bolle, alte fino a 80-90 m. Dalla superficie sono  ancora ben visibili le bolle che salgono verso l’alto e scoppiano  raggiungendo il pelo dell’acqua. 
  
  Ricostruzione di un piccolo e  depresso edificio, alto poco meno di 10 m, che si è costruito su un  fondale profondo attorno a 50 m, 3 km circa a sud-ovest del Banco  Terribile. Le isobate sono espresse in metri. L’esplorazione del piccolo  cono, eseguita utilizzando una telecamera montata in un Remote Operated  Vehicle (ROV), ha mostrato che esso è costruito da depositi  piroclastici fini, organizzati in strati e sottili banchi,  verosimilmente prodotti da attività esplosiva idromagmatica     Schizzo contemporaneo  dell'eruzione dell'isola di Ferdinandea nel 1831. Il veliero a sinistra  indica le dimensioni piuttosto piccole dell'isola appena emersa.  Immagine nella collezione di Maurice e Katia Krafft e pubblicata da Simkin & Siebert 1994 (fonte: Smithsonian Institution - Global Volcanism Program) | 
 
 
      Il campo esalativo, rigorosamente  allungato nord-sud, dalla profondità di 90-100 m si segue verso il basso  lungo tutto il fianco dell’edificio e poi attraverso il pavimento  marino non vulcanico, con uno sviluppo complessivo probabilmente  superiore a 3 km. Le fumarole hanno una portata veramente molto alta e  danno origine a violente eruzioni gassose sotto forma di catene di  bolle, le quali salgono per diverse decine di metri formando dense e  larghe (20-30 m) colonne; più in alto le colonne si sfrangiano e si  assottigliano, pur restando perfettamente riconoscibili fino alla  superficie, dove si osservano ancora grosse bolle in risalita. Non si  tratta delle solite esalazioni fumaroliche; sembrano dei geyser continui  di vapore, espulso sotto forte pressione.
Abbiamo utilizzato (Sanfilippo, Lanzafame, 2006) una telecamera montata in un Remote Operated Vehicle  (ROV), per studiare il campo fumarolico nel pavimento marino non  vulcanico e lo abbiamo seguito verso nord, fino alla profondità di 173  m, senza raggiungerne il limite settentrionale. Lo studio dei fondali  all’esterno della base settentrionale del cono, ha mostrato che essi  sono costituiti da sedimenti mobili, sabbioso-fangosi, di colore  biancastro e di natura organogena. Sono presenti anche blocchi isolati,  il cui numero e la cui dimensione aumentano in prossimità del cono, ad  indicare la loro origine gravitativa a spese dei versanti dell’edificio.  Il pavimento marino è in larga misura ricoperto da un velo di sabbia  nera, di origine vulcanica, composta da materiale ialoclastico, come ha  mostrato l’analisi dei campioni di fondo raccolti nel corso delle  indagini. Le sabbie vulcaniche, con evidenza, sono state osservate a  ricoprire i blocchi e anche organismi sessili viventi. I fondali di  tutta la zona esaminata (1 kmq circa) sono disseminati di depressioni, a  forma di imbuto, di dimensioni metriche (diametro e profondità), spesso  organizzati lungo orientazioni nord-sud, alcune delle quali sono ancora  sede di fumarole molto deboli. Queste evidenze, in riferimento anche a  quanto conosciuto a proposito dei campi esalativi in terra ferma,  indicano che i piccoli crateri sono il prodotto di ormai esauriti flussi  fumarolici ad alta energia i quali, quando erano in attività, scavavano  le depressioni asportando i materiali più fini, portandoli in alto e  disperdendoli nella zona. L’osservazione di granuli neri, di origine  eruttiva, su organismi viventi conferma senza equivoci che il fenomeno è  ancora in atto nelle adiacenti zone vulcaniche.
Interessanti informazioni a proposito  del vulcanesimo del Banco Graham sono anche fornite dall’edificio  ubicato 1,5 km circa a SW del Ferdinandea (Fig. 6B, 6). Si tratta di un  cratere ad anfiteatro, aperto verso nord-ovest, largo 750 m ed alto 70 m  sul pavimento marino profondo 200  m; all’interno di questa struttura,  in posizione centrale, il perdurare dell’attività vulcanica ha costruito  un più giovane e più piccolo (diametro alla base 400  m) cono,  discretamente regolare, alto poco meno di 100 m.
Estendendo i rilievi batimetrici dal  Banco Graham fino al Terribile (le culminazioni dei due banchi distano  14 km), è emerso che il fondo marino, la cui profondità varia da circa  –200 m, in prossimità del Ferdinandea, ai –20 m del Terribile, è  butterato da piccoli edifici vulcanici, i quali essendo alti in genere  poche decine di metri, hanno dimensioni molto inferiori a quelli che  dominano il sistema del Ferdinandea ma sono in numero nettamente  superiore. Viene riportata, come esempio, la ricostruzione di un piccolo  e depresso edificio, rilevato 3 km circa a SW dal Banco Terribile, su  un fondale profondo attorno a 50 m (Fig. 8). E’ alto poco meno di 10 m e  all’esame effettuato a mezzo di una telecamera su ROV, è risultato  costituito da materiale fine variamente stratificato. Queste  osservazioni visive, la forma fortemente tronco-conica dell’edificio e  le dimensioni dell’area craterica, il cui diametro è di poco inferiore a  quello della base dell’edificio, testimoniano, senza ambiguità,  sull’origine della piccola struttura da attività eruttiva piroclastica.  Il buono stato di conservazione del piccolo cono, in relazione alla sua  composizione piroclastica facilmente erodibile, fornisce indicazioni a  proposito all’età dell’eruzione responsabile, certamente recente,  probabilmente olocenica.
Dal Banco Nerita, la cui culminazione  dista da quella del Terribile 12,5 km, abbiamo dragato depositi sciolti  attuali fondo marino (fango e sabbia ricchi di resti organogeni) e  calcareniti organogene tardo pleistoceniche, discretamente cementate.  Non siamo riusciti a portare in superficie le rocce substrato di questa  sottile copertura sedimentaria e non abbiamo, pertanto, informazioni  sufficienti per estendere la presenza di vulcanesimo a questo banco o  escluderla. I rilievi bati-morfologici mostrano, però, 1) che il Nerita  ed i Banchi Graham e Terribile, questi ultimi ad attività vulcanica,  costituiscono chiaramente un unico elemento fisiografico; 2) che sulla  sua superficie, in particolare sulla sua terminazione settentrionale,  sono presenti forme coniche più o meno regolari, di varie dimensioni  che, pur con tutta la prudenza del caso, potrebbero essere ricondotte ad  edifici vulcanici.
Conclusioni
Il campo fumarolico del Ferdinandea è  troppo esteso ed ha emissioni di portata troppo elevata per essere  spiegato attraverso l’attività di una faglia che depressurizza un antico  corpo vulcanico; più verosimilmente la faglia, la quale fa parte del  panorama tettonico regionale, ha facilitato l'ingresso di nuovo magma  all’interno del vulcano, in posizione non molto profonda. Queste  considerazioni, che presuppongono la stabilità nel tempo del  vulcanesimo, sono coerenti con la presenza, sempre al Ferdinandea, di  orli craterici grosso modo concentrici di differenti età e con le  evidenze di attività intra-craterica, i quali segnano l’apice del cono  più occidentale dell’apparato; esse trovano inoltre conferma  nell’edificio che, 1,5 km a SW del Ferdinandea, è costituito da un  grande anfiteatro craterico, all’interno del quale il perdurare  dell’attività vulcanica ha costruito un più giovane cono. Ne discende  che le eruzioni della piattaforma continentale non sono il prodotto di  semplici attività fissurali, controllate dall’apertura delle faglie che  episodicamente le alimentano; al contrario le eruzioni sono il prodotto  di una notevole persistenza temporale e spaziale del vulcanesimo,  sostenuto da camere magmatiche ben strutturate e ben alimentate.
Il piccolo cono piroclastico, rilevato  in corrispondenza del Banco Terribile, e gli altri numerosi e piccoli  edifici che si rinvengono tra il Terribile ed il Graham, l’apparato  vulcanico del Ferdinandea e i numerosi coni che lo accompagnano,  confermano l’idea che il grande rilievo sottomarino prospiciente Sciacca  sia sede di un’unica area vulcanica, attiva e di grandi dimensioni (25 ×  30 km circa). Le attività storiche del Ferdinandea, l’età molto recente  del conetto del Terribile, la consistenza spaziale e temporale delle  eruzioni finiscono per avvicinare il vulcanesimo attivo, e quindi le  possibilità di eruzioni, alle coste meridionali della Sicilia, fino ad  alcune decine di chilometri da Capo San Marco e da Sciacca, distanza non  molto più grande di quella che separa la cattedrale di Catania dai  crateri sommitali dell’Etna.
Queste evidenze hanno chiare  implicazioni con quel che riguarda il rischio vulcanico e sismico, e  motivano un approfondito programma di studio e la messa in atto di un  sistema di monitoraggio. Nonostante le difficoltà tecniche ed operative,  i primi risultati, ancorché parziali, sono incoraggianti e stimolanti.
Questo articolo è tratto da:
Cutrone A., Santo A.P., Lanzafame G.,  Tessarolo C., Macaluso D., 2006. La Crociera della Universitatis sul  Banco Graham: prime segnalazioni di emissioni fumaroliche ad alta  energia nell’area della Ferdinandea (Canale di Sicilia). V Convegno  Nazionale CoNISMA, Viareggio (Lu), novembre 2006.
Gabbianelli G., Rossi P.L., Lamberti  L.O., 2007. The Foerstner and Greaham volcanoes in the Sicily Strait  (Central Mediterranean sea): new bathymeric and morfological data.  Geoitalia 2007 - VI Forum Italiano di Scienze della Terra, Rimini,  settembre 2007.
Sanfilippo R., Lanzafame G., 2006.  Rilievi di fondo nella zona della Ferdinandea (-173 metri). Rapporto  Interno INGV-UNICT, 3 pp.